mercoledì 2 dicembre 2015

L'araba fenice Hibu, il birraio: "Devo ringraziare le beerfirm se oggi sono qui"

E' la storia di una scommessa vinta, quella di Raimondo Cetani (letto Cétani) e del suo Birrificio Hibu. E' la parabola dell'informatico che insieme ai due soci Tommaso Norsa e Lorenzo Rocca decide di mollare i computer per elevarsi dallo stato di homebrewer a quello di birraio e che ora è proprietario di tre locali ed è al terzo trasloco dei suoi impianti, che passando da una sede all'altra continuano ad ampliarsi. Una scommessa vinta anche un po' rocambolescamente, a dire il vero: Cetani deve, infatti, "ringraziare" il produttore di vino (folgorato sulla via di Damasco) che cercava qualcuno che producesse la sua nuova linea di birra e che l'ha convinto a spiccare il grande salto garantendo abbastanza lavoro da coprire l'investimento. Poi invece s'è tirato indietro lasciando Hibu in un mare di guai. 

"Devo ringraziare (e in questo caso il verbo non è usato ironicamente, ndr) le beerfirm se oggi sono qui", ha rivelato Cetani, raccontandosi durante l’evento mensile #BirraioInSalotto al Baladin Milano. "Dopo otto mesi di lavoro il nostro committente si è reso conto che la birra artigianale non era il vino... - ha continuato con un sorriso amaro - Era il 2012, avevamo prodotto solo 7mila litri in tre mesi, avevamo un'ipoteca sulla casa e ci ritrovavamo con mezzo milione di debiti. E' stato drammatico, ma siamo riusciti a risollevare la testa: sono andato a cercare quelli che, come me all'inizio, volevano far birra pur non avendo un impianto di proprietà. E nei successivi nove mesi abbiamo brassato 120mila litri".

Se in quell'avventuroso 2012 le beerfirm sono arrivate a quota 70%, oggi rappresentano solo il 10% della produzione del nuovo impianto di Burago Molgora (prima Hibu è stato per anni a Villanova di Bernareggio e prima ancora ha iniziato a Cornate d'Adda). "Le mail degli hombrewers che chiedono un preventivo in genere finiscono nello spam... - ha sorriso Rai - No, nel senso che anche la beerfirm deve avere un minimo di progettualità, come noi quando andavamo a brassare da Manerba e Bassa Bresciana: se non ci fossero stati loro, non saremmo potuti nascere e non avremmo imparato tanto di ciò che sappiamo oggi. Nelle firm c'è chi vuol fare solo business, chi lo fa senza sapere bene nemmeno perché, e chi ha un progetto e magari un birrificio lo aprirà davvero".

Cetani con Alessio Franzoso di Baladin
La storia di Hibu nasce in un garage. Cetani come Bill Gates, insomma, entrambi informatici, ma con un diverso destino. “Sono cresciuto a Monza, ma le mie origini si dividono fra il Sud Italia e il Belgio, dove infatti sono stato sovente, negli anni, facendo la conoscenza di un mondo birrario che qui fino a pochi anni fa non esisteva minimamente. Curiosa coincidenza, da universitario nel ‘96 ho partecipato all’inaugurazione del Birrificio Lambrate di Milano (uno dei primi cinque d’Italia, ndr): a fine anni Novanta ho preso il primo kit di Mr.Malt, poi il primo impianto da 30 litri nel box a Cornate, nel 2007 la nascita dell’etichetta come beerfirm (tra le prime in Italia), nel 2008 il primo capannone e nel 2011 il trasferimento a Bernareggio. Da aprile, infine, Burago".

Raimondo Cetani al centro. Alla sua destra Patrizia Formenti (marketing) e Giuseppe Ferrario
(grafiche), a sinistra il socio Tommaso Norsa di Milano e il nuovo acquisto Laura Pirovano
(che passa dal laboratorio di Baladin a Piozzo a quello di Burago, tornando nella sua Brianza).
Non era presente infine il terzo socio del birrificio, l’agratese Lorenzo Rocca
Ma nonostante i successi (tra cui due locali “Impronta birraria” a Milano e “Hibu on tap” a Concorezzo, ma ne nascerà un quarto a Copenhagen), a Raimondo Cetani proprio non va giù il “Cerchio magico” del mondo della birra artigianale italiana. Vale a dire quel ristretto novero di birrifici ed esperti, in genere sempre quelli, che ruotano sulla scena nazionale ormai da anni, senza alcun ricambio e a volte anche senza particolari meriti. “E’ un mondo viziato e vizioso - è stato lo sfogo del birraio - Che ha pregiudizi sui birrai, sui birrifici, sulle birre, sulle etichette… è un continuo. Agli eventi si invitano sempre i soliti. Parlando proprio con Teo Musso facevamo fatica ad arrivare a 30, elencando i birrifici italiani che superano i 2mila ettolitri (Baladin, Borgo, Ducato, Brewfist, Toccalmatto, Elav, Hibu e via dicendo), ma la quantità non può essere un parametro assoluto: ho conosciuto di recente i ragazzi - bravi - di un birrificio trentino che fa 1500 litri e che nessuno si fila, per esempio”. Insomma, non guasterebbe più attenzione alla qualità senza preconcetti e meno alla nomea, fra gli 800 e passa marchi nazionali (il 30% sono beerfirm, come confermato dall’esperto Marco Tripisciano di MondoBirra.org, presente in sala).

(Storico "gemellaggio" fra MondoBirra.org e BirraNotizie.it)