mercoledì 27 maggio 2015

La svolta di Hammer: le artigianali dicono addio alla rifermentazione in bottiglia

Il birraio Marco Valeriani
“Lavoriamo completamente in contropressione. Non rifermentiamo nulla, qui”. Lo ha spiegato e ribadito più volte, il birraio Marco Valeriani, sabato durante l'open day d'inaugurazione (QUI L'ARTICOLO) del birrificio Hammer, nel Bergamasco. E ha dovuto farlo, perchè anche a molti degli stessi appassionati in visita al neonato impianto di Villa d'Adda, il concetto è suonato alle orecchie come una vibrazione quanto meno inattesa.

Quella che è comunemente nota come birra “artigianale” – in attesa del battesimo di definizioni più esaustive – e spesso semplicisticamente qualificata anche come “cruda”, è, infatti, in genere proprio sinonimo, fra le altre cose (insieme alla mancata pastorizzazione o alla non filtrazione), di rifermentazione in bottiglia. Ovvero di quel processo che chi fa la birra in casa conosce bene e che serve in genere a completare la maturazione, dando quel quid necessario di bollicine grazie all'aggiunta di zuccheri di cui i lieviti rimasti nel mosto fermentato si nutrono, insieme all'ossigeno, generando anidride carbonica.


Cosa che non avviene con la tecnica di infustamento e imbottigliamento “isobarica”, largamente utilizzata in campo industriale e in via di sempre maggior diffusione anche fra i produttori delle artigianali (la utilizzano già diversi marchi noti, molti dei quali specializzati soprattutto in birre a bassa fermentazione). “Lavorando in contropressione – ha spiegato il birraio - la birra viene addizionata di anidride carbonica nei serbatoi e poi viene confezionata già 'gasata' all'interno di bottiglie o fusti. Questo sistema consente di garantire, in particolare per certi stili di birra (dalle pils alle american IPA), freschezza e aromaticità decisamente più elevate, perché la birra non va mai a contatto con l'ossigeno, che tende inevitabilmente a degradare il profilo aromatico del prodotto”. 

Ma non si pregiudica una “evoluzione” del prodotto? “La rifermentazione – ha spiegato Marco Valeriani - porta nelle bottiglie lievito ed ossigeno. Ed è impossibile avere la certezza che il lievito sia in grado di 'mangiarsi' tutto l'ossigeno: è per questo che le birre invecchiano. Questo può avvenire in ogni caso anche nella isobarica, che è più delicata proprio perchè anche un minimo difetto, ad esempio nel raccordo di una tubatura, può portare un'aggiunta indesiderata (fin sopra alle cento parti per miliardo) di ossigeno che pregiudica la stabilità del prodotto tanto quanto la rifermentazione in bottiglia. Se non è perfetta... fai un disastro: la birra si ossida in due ore! Ma è una tecnologia che, se utilizzata bene, può al contrario dare un prodotto molto più fresco e fragrante”.


Birre insomma praticamente senza lievito vivo, molto più cristalline, sono uno dei nuovi percorsi che le artigianali sembrano destinati ad imboccare, insomma. Ma al tempo stesso birre che necessitano anche di protocolli per il controllo della qualità più stringenti. “Dobbiamo controllare  l'ossigeno disciolto nella birra prima che vada nella confezione  – ha concluso il birraio – E poi attraverso prove di laboratorio, su bottiglie o fusti campione”.

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