giovedì 15 ottobre 2015

Craft o non craft? Un dubbio amletico tipicamente italiano

In Italia c'è un solo corso universitario specificamente riservato alla Tecnologia della birra. E' nato nei lontani anni Ottanta e a tenerlo ormai dal 1994, alla Facoltà di Agraria di Udine, è Stefano Buiatti (nella foto, gentilmente concessa da Mondobirra.org). Professore, ma anche appassionato e, a tutto tondo, fra gli esperti di settore "top" che si contano sulle dita delle mani, nel nostro Paese.

Il professor Stefano Buiatti
Cultore, docente e tecnico, insomma. Soprattutto con un approccio schietto e razionale, lontano da pregiudizi "ideologici" di cui è molte volte intrisa la scena brassicola. Potrà rendersene conto chi avrà la fortuna di seguire il suo laboratorio "Dal campo al bicchiere" in agenda il 24 ottobre prossimo alla Fiera Mastro Birraio di Pordenone: sotto i raggi X, la filiera di un processo.

Sarà proprio questo il punto di partenza. E', infatti, un'anomalia del tutto italiana -  secondo il Buiatti-pensiero -  la dicotomia quasi manichea fra artigianale e industriale, bello e brutto, giusto e sbagliato, qualità e porcheria. Un approccio semplicistico e il più delle volte forzato, secondo il docente ("Io credo in primo luogo nel prodotto di qualità, da qualsiasi parte arrivi"), perché non è affatto automatico che artigianale significhi qualità.

Né che valga il contrario, ca va sans dire, ma il problema lungo lo Stivale è fisiologico a un peculiare assetto del sistema: da un lato fabbriche nella concezione più classica del termine, che arrivano a sfornare fino a 100mila litri all'anno della più standard delle tipologie di birra (la classica lager), dall'altro realtà con un'infinita varietà di stili nella faretra, eppure nella gran parte dei casi così piccole da non superare i mille litri

Una spaccatura così profonda non poteva non lasciare il segno, in un Paese ancora indietro anni luce in termini di Cultura brassicola ("In Belgio - dove fra l'altro il problema delle due tifoserie, craft e no craft, non se lo pone nessuno, ndr - vi sono sì realtà industriali, ma anche produttori di medio livello in grado di produrre 10, 20, anche 60mila litri l'anno", spiega Buiatti).

Insomma, se l'artigianale riuscisse a "rubare" dai processi della grande industria più "tecnologia" (potendoselo economicamente permettere), potrebbe raggiungere una qualità anche superiore (e lo testimoniano a dire il vero birrifici ambiziosi avventuratisi negli ultimi anni sul terreno della produzione isobarica, per dirne una). Un esempio? "Va bene la non pastorizzazione, ma nelle artigianali non avrei nulla in contrario se si facesse maggiormente uso della filtrazione. Troppo spesso si sentono note di lievito in alcune birre artigianali che, troppo accentuate, snaturano e sviliscono il prodotto", rileva il professore.

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