Il pane fatto in casa col lievito naturale (variante: la pizza fatta in casa).
Smanettare in cucina è senz’altro cosa degna di lode. E chi si dispone a fare il pane con il lievito madre sta chiaramente ponedo le basi per. Ma di tutte le volte che assaggiando le creazioni di volenterose neo-massaie avete commentato: “mmm, buonissimo”, quante in realtà avete pensato: “Sola di scarpa inacidita”?
Il sushi.
Coraggio — è arrivato il momento di interrompere bruscamente le insane relazioni che prevedono richieste tipo: “sushi insieme, stasera?” I don’t do sushi no more. E i crudisti che al cospetto di un trancio di tonno cinguettano di sentirci il mare penso lo facciano per moda. Il punto è che non trovo mai un motivo per cenare col sushi piuttosto che con qualunque altro piatto.
(quasi tutte) Le birre artigianali.
Intendiamoci, la centralità dell’artigianale italiana è fuori discussione, alla prova degustazione vince a mani basse. Ciò detto, ne hanno parlato cani, porci e passanti, i prezzi son lievitati e ora, ogni volta che le vedo metto su un’espressione di sana antipatia. Per la cronaca, la crisi di rigetto ha riempito il mio frigo di Menabrea, Budweiser, Orval e Guinnes.
I formaggi con le marmellate.
Da una parte, vedere pezzetti informi di cacio disposti in senso orario abbinati a schizzi collosi di confetture rosse e gialle mi provoca un’incontrollabile ilarità. Dall’altra, la tentazione di alzarmi e andarmene ogni volta che fanno la comparsa sul tavolo. Non voglio essere mai più l’utilizzatore finale di questa roba.
Le tagliatelle al ragù di Massimo Bottura.
Per carità, l’Osteria Francescana è il vero punto G della cucina italiana, e la tradizione remixata da Bottura è storicizzabile come la più ultimativa degli anni zero. Ma dico, avete mai mangiato le tagliatelle al ragù? A parte che 9 su 10 arrivano tiepide, ma nell’improvviso deserto di sapore ho creduto di pensare che fossero migliori quelle di mia suocera. Basta così?
I macaron.
“Macaron c’est moi” potrebbe dire a ragione il pasticcere parigino Pierre Hermé. Ma al di là dei suoi, e mettiamoci Luderée + una decina di adorabili eccezioni, il resto dei macaron fa schifo. Belli son belli, eh, però diciamolo una volta per tutte che il re è nudo, e che a meno di non amare il sapore degli aromi di sintesi c’ha le papille gustative di legno. (© della laettrice Paola Roccuzzo).
Tofu e seitan.
Provateci. No, dico: provateci. Convertite il vostro appuntamento alla filosofia del light e fategli mangiare quello che prima dell’infatuazione esotica, quando ancora chiamavamo le cose col lore nome, sarebbe stato cibo per galline. E sperate che essendo troppo pigro per venirti a bruciare il citofono, si limiti a togliere l’amicizia su Facebook.
Le ostriche.
Conoscendo i miei polli (gastrofanatici italiani che trovano eccitante l’ambigua pratica di succhiare molluschi dalla loro conchiglia) confesso un’ardente adorazione per i frutti di mare tutti. Ma non posso non fare le pulci alle ostriche evocando il sapore dell’acqua di porto che mi arriva in gola ogni volta che ne succhio una. Magari perché non è delle migliori, non so.
Prosciutto e melone.
Per quale motivo combinare due cose degne del massimo rispetto per farne una terribile. Provate il melone con le aringhe affumicate, piuttosto.
La torta Mimosa.
Senza giri di parole: guarderei una stagione di Antonella Clerici piuttosto che mangiare una fetta di torta mimosa.
Baccalà e stoccafisso.
In una democrazia compiuta “quel buon odore di baccalà” (?) sarebbe fuorilegge. Non sono uno schizzinoso, non chiudo le narici sentenziando che stoccafisso e baccalà puzzano come calzini. Sopporto perfino i sinonimi inventati dagli invasati per non dire che puzza, inebriante… divinamente muschiato. Ma io mi chiamo fuori… e no, nemmeno fritto.
Nessun commento:
Posta un commento