Una folata di luppoli, per la prima puntata del 2015 delle chiacchierate mensili “In salotto col birraio” al Baladin Milano. Protagonista Pietro Di Pilato, mastro birraio del lodigiano “Brewfist”, uno dei birrifici maggiormente “sull'onda” degli ultimi anni.
“Utilizziamo 5/6 tonnellate di luppolo all'anno”. Basta questo per dare la cifra di quello che il presentatore della serata, Alessio "Islaz" Franzoso, ha definito "ciò che sarebbe stato Baladin se il movimento artigianale fosse nato cinque anni fa”. Vale a dire, un birrificio giovane, ma già affermato, sulla scena delle artigianali.
Brewfist nasce alla fine del 2010 (la prima cotta il 16 novembre, per la precisione) a Codogno, nelle vicinanze di Piacenza, “da un'idea mia e di Andrea Maiocchi – ha raccontato Di Pilato – Lavoravamo insieme nel 'fu' Birrificio Lodigiano (lui è uno dei pochi commerciali in Italia che si è sempre sporcato le mani i birrificio), a una manciata di chilometri di distanza da dove ci troviamo oggi. Poi nel 2009 ci siamo messi in proprio. Era l'anno di Brewdog e Flying Dog, il momento in cui prendevano piede birre giovani, luppolate, dal packaging accattivante. E in cui, in Italia, per contro, le artigianali guardavano totalmente, o quasi, al mondo della ristorazione”.
E il parallelo con Brewdog non corre solo sull'assonanza. Brewfist voleva ispirarsi a un'icona vincente: missione compiuta, o quasi. Sicuramente un'escalation esponenziale: “Avevamo molti dubbi, ma l'idea era di partire con una produzione il più intensiva possibile: nel 2011 avevamo un impianto da 2mila ettolitri, nel 2014 già da 6mila", ha confermato il birraio.
Laureatosi in scienze tecnologiche alimentari a Milano, Di Pilato racconta d'aver bevuto la prima birra artigianale al Lambrate. “Ma è nel 2005 che ho avuto la fortuna di vivere un anno a Londra e, soprattutto, di lavorare per Fuller's, il più importante birrificio londinese. Una volta tornato in Italia - ha raccontato - ho lavorato anche in un altro paio di posti (non faccio nomi..) imparando cosa NON bisogna fare, prima di prendere la mia strada”.
Tutto è stato progettato da zero, grafica e immagine, oltre alla birra. "Volevamo fare un birrificio all'americana, ma la burocrazia ce l'ha impedito... Un anno dopo, a pochi chilometri di distanza, è nato il pub". Ovvero il "Terminal 1", da cui anche il nome della prima birra presentata in sala, la “Terminal”, appunto, una session Ipa da 3,7 gradi con luppoli Citra e Summer, nata “per arginare l'emorragia di patenti ritirate”. Un nobile tentativo, fallito secondo il creatore, che ha comunque lasciato sul piatto una sperimentazione che piace.
Tornando al luppolo, delle 5/6 tonnellate annue "bruciate" da Brewfist, sono una decina le varietà utilizzate, quasi mai “in purezza” ma sapientemente miscelate. “Anche se il Citrra resta il mio preferito”, ha confessato Di Pilato. Ed è la seconda birra approdata nella cantina di via Solferino, la "Spaceman", l'assoluta protagonista, in questo senso. "E' l'unica che non ha mai cambiato ricetta - ha confidato il mastro - E' la prima fatta dopo le quattro di partenza del birrificio. Nata a marzo 2011 con un target preciso, è una birra 'sartoriale'. La prima cotta è stata da 3mila litri, oggi rappresenta un terzo della produzione totale". "E' la vostra Punk Ipa - ha fatto eco Franzoso - tanto che per molti appassionati siete 'quelli della Spaceman'".
E prima del terzo assaggio, la chocolate imperial stout "Spaghetti western", ancora alcune curiosità. “Non proviamo mai le ricette, no cotte pilota: molta ricerca e poi subito in produzione. Anche se poi difficilmente la prima cotta rimane invariata". E infine sul movimento delle artigianali nel suo complesso: "800 birrifici sono troppi rispetto a ciò che il Mercato può assorbire - ha concluso Di Pilato - Molti aprono birrifici come dopolavoro... Sono cinque anni che s'attende una moria che poi non accade mai: è un fenomeno davvero difficile da interpretare".
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