venerdì 10 aprile 2015

La "stranezza della normalità", il Birrificio Torino al #BirraioInSalotto

Un background personale “alla Baladin”, ma un prosieguo birrario più “alla tedesca”. La “stranezza della normalità”, nello scegliere quali stili brassare, oggi, per uno che ha davvero iniziato fra i primi. E poi – apparente ossimoro – un birraio che non ha mai vestito (anche) i panni dell'homebrewer. Questi, in estrema sintesi, i segni particolari sulla carta d'identità di Mauro Mascarello, anima e guida del Birrificio Torino.

Marco  Brambilla e Alessio Franzoso di Baladin: nel mezzo, Mauro Mascarello
Un birraio dallo stile un po' guascone (non solo nell'apparenza), per l'appuntamento mensile con il #BirraioInSalotto, ciclo di chiacchierate e degustazioni con produttori artigianali made in Italy al Baladin Milano di via Solferino. Basti pensare che ha imparato il mestiere grazie a un viaggio in Africa in moto. O meglio, grazie al viaggio in nave per approdare poi nel Continente nero, durante il quale si è fortuitamente trovato a condividere la cabina con un birraio tedesco e, al ritorno, folgorato sulla via del luppolo, ha deciso di raggiungerlo per “studiare” da birraio ("Beh, ci sono rimasto sei mesi").

Mauro Mascarello del Birrificio Torino
Il risultato è un cultore della "bassa fermentazione", in attività da ormai 15 anni (tre in meno rispetto ai primi Baladin e Birrificio Italiano), che quando ha brassicolmente emesso il primo vagito era il 27esimo in Italia (ora sono più di 600 i microbirrifici, oltre 800 compresi i beerfirm, ovvero le etichette prive di produzione propria che s'appoggiano a terzi). Ma che ammette: "La nostra produzione di bottiglie 'fa tenerezza', ci concentriamo soprattutto sui fusti e il 90% della nostra produzione finisce nel brewpub legato al birrificio".

Mascarello e "Islaz" Franzoso
Un background alla Baladin perchè anche Mascarello proviene come Teo Musso da una famiglia di vignaioli piemontesi. "Perchè sono diventato birraio? Perchè a un certo punto, mi costava meno farla che berla... - ha ironizzato - Il fatto è che io il vino non riesco proprio a berlo, quindi mi sono dovuto inventare un personale percorso alternativo. Mio zio beveva birre e lasciava fuori dalla porta cassette colme di bottiglie vuote: io sentivo il sentore del luppolo e mi piaceva...".

Eppure Mascarello non è mai stato un homebrewer. E' passato direttamente dalla grammatica dei desideri alla pratica delle cotte. Un "tedesco delle Langhe" che oggi - mentre le tendenze più alla moda oscillano fra birre acide e luppolature estreme - è in un certo senso più in “controtendenza”, alla Agostino Arioli per intenderci oppure - per rimanere sull'attualità - alla Simone Dal Cortivo del Birrone. "Siamo due soci non più giovanissimi - ha raccontato il birraio - e facciamo birre canoniche, che nella varietà del mercato attuale forse diventano 'strane' perchè troppo normali".



In sala ha portato la hellesbock "L'originale", la spontanea "Chellerina" (prodotta in quattro versioni "quasi" uguali da tutti e quattro i birrifici di Torino, compresi Black Barrell, La Piazza e San Paolo) e la bock "Rufus". Ma perchè Torino? "Giusto per non chiamarlo birrificio condominiale...", ha ironizzato ancora il titolare del primo birrificio ad aver fra l'altro lanciato a livello nazionale un concorso per le etichette (!).

Sul finale, anche una punzecchiatura dal pubblico. "Noi hombrewer - è stata la domanda di un avventore - la birra la facciamo, e sappiamo bene anche quali sono i relativi costi... Perchè, se a voi - per economie di scala - costa ancora meno, i prezzi al dettaglio sono così elevati?". "Perchè la tassazione che c'è in Italia  (sui produttori, non su chi fa la birra in casa) non c'è in nessun altro Paese d'Europa: solo coi governi Letta e Renzi l'accisa è già aumentata tre volte", è stata la replica di Mascarello.

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